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Claudio, un ragazzo…con un DOC

Claudio, un ragazzo…con un DOC

Salve, stavo guardando il vostro sito e mi è venuta voglia di scrivervi.

Io sono andato dallo psicologo per un po’ di tempo, e in più riprese.

La prima volta mi ci portò mia madre, consigliata dalla maestra che, a parere suo, c’era qualcosa in me che non andava; diceva: “E’ strano signora, suo figlio fa delle cose strane”

So bene a cosa si riferiva, in effetti in quel periodo, parlo di quando ero in quarta elementare,  potevo passare per un bimbo un po’ strano.

In quel tempo (ma l’importanza di questo la capii molto più tardi) la mia famiglia passò un periodo molto difficile, mio padre si ritrovò senza lavoro e, per motivi economici, dovemmo lasciare la casa in cui stavamo, e trasferirci da uno zio fuori città.

Per me cambiarono molte cose, per prima cosa la scuola e miei compagni di classe, e poi la casa, quella in cui andammo a stare, era in realtà una stanza.

Gli zii furono molto gentili ad accoglierci, ma le condizioni erano difficili, il bagno e la cucina erano in comune con loro, ed io dormivo in corridoio, in un letto che si tirava fuori da un mobile, non avevo più una mia stanza.

È in quel periodo che iniziai, come disse la maestra “ a fare delle cose strane” io non me ne rendevo conto, o meglio, non mi rendevo conto che erano strane, ma iniziai ad avere dei comportamenti  bizzarri, almeno questo agli occhi degli adulti, per me invece, avevano un senso. Queste cose strane che facevo, in qualche modo riuscivano a non farmi pensare, a distrarmi da pensieri stravaganti, dalle “paure” cosi le chiamavo io che, in quel periodo, mi tormentavano.

Le “paure” iniziarono con l’idea che il cibo potesse strozzarmi, non tutto il cibo, solo gli alimenti rotondi: lenticchie, ceci, piselli, ciliegie e così via, pensavo ed immaginavo che il cibo essendo rotondo poteva scivolarmi in gola senza il mio volere e immaginavo come sarebbe stato morire soffocato.

Nella mia testa sapevo però, che per evitare che il cibo mi strozzasse potevo metterlo in bocca, tenerlo qualche secondo e poi risputarlo nel piatto per poi riprenderlo nuovamente e, rifare la stessa cosa per tre volte, avrebbe scongiurato la mia morte.

Capitava a scuola ma anche a casa, e nel tempo quest’idea non si limitò solo agli alimenti rotondi, ma a tutti quegli alimenti e sostanze liquide che non potevo fermare con la lingua, come il dentifricio, l’acqua e così via.

Le cose nel tempo in un certo senso peggiorarono, le idee strane e stravaganti non si limitarono solo al cibo, ma capitò anche con i vestiti: banditi i bottoni, solo chiusure con zip, o con gli oggetti che dovevo tenere sul banco, tutti sistemati secondo una logica per cui non dovevano assolutamente essere spostati. Ogni “paura” aveva il suo “antidoto”, potevano essere tre botte sul tavolo piuttosto che tre giri su me stesso. Verso la fine dell’anno, la maestra convocò i miei genitori che, anche loro, preoccupati per questi miei comportamenti, si rivolsero ad uno psicologo.

Ho un’idea confusa di quegli incontri, mi ricordo che la psicologa era una dottoressa molto gentile, e giocavamo, disegnavamo, ma non molto di più.

Ricordo meglio invece il secondo momento in cui tornai a consulto da uno specialista, questa volta per mio volere, ero adolescente e sentivo di impazzire.

I pensieri intrusivi, le “paure”che, per un certo periodo della vita sembravano scomparse, riaffiorarono intorno ai miei 17 anni, un altro momento difficile della mia vita e della mia famiglia.

Mia madre si ammalò e per poter avere maggior assistenza venne a vivere con noi mia zia. Cambiarono ovviamente i ritmi e lo stile di vita di tutti, un po’ per la malattia di mamma e un po’ per l’arrivo di un’altra persona

Ecco, più o meno accadde come fu con il cibo, questa volta però i pensieri, le “paure”erano molto più intrusivi e molto più “fastidiosi”, a differenza della volta precedente, non riuscivo a liberarmene facilmente nemmeno gli “antidoti”che utilizzavo riuscivano a neutralizzare i pensieri negativi se non per tempi brevi.

Le cose andarono avanti per un paio di anni, finché iniziai a preoccuparmi davvero all’idea che avrei continuato a vivere in questo modo.

Mi ricordai della psicologa di quando ero piccolo e che l’esperienza con lei era stata per me positiva, rintracciarla non era più possibile, contattai allora il servizio pubblico della mia zona e presi un appuntamento con lo psicologo di riferimento. Mi fu diagnosticato un DOC, Disturbo Ossessivo Compulsivo.

Iniziai una psicoterapia con lo psicologo del servizio pubblico e una terapia farmacologica di supporto.

Sono passati degli anni e adesso sto molto meglio, a volte mi capita di pensare a come sono stato in quegli anni e di come, sono stato male, confuso e senza riferimenti. Credo sia importante potersi far aiutare.

Ok. Ecco, tutto qua. Vi auguro un buon lavoro.

Claudio.

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